Oltre la web analytics: no KPI, no party

Oltre la web analytics: no KPI, no party

Il web è crudele, e di questo ne ho già borbottato a sufficienza, soprattutto qui.

Tutte le attività digitali, che siano fatte per vendere cianfrusaglie o divulgare il sapere a piè sospinto come Piero Angela, sono misurabili con estrema precisione e qui non si scappa: se non raggiungi i tuoi obiettivi, oppure nessuno ti fila di striscio, lo verrai presto a sapere.

I freddi numeri, certamente, non sono tutto. C’è anche una questione di valori, di branding, di percezioni, e bla, bla, bla. Però, se li interpretiamo bene, i numeri sono in grado di rivelarci un sacco di cose.

Molti si fermano sui dati più conosciuti e di facile interpretazione, come per esempio le visite, i visitatori e le pagine viste di un sito web o di un’applicazione. Ma è come se io fossi il proprietario di un negozio e mi limitassi a contare la gente che entra ed esce, senza andare più in profondità nelle mie analisi. Quanti sono i clienti soddisfatti che hanno voglia di ritornare? Quanti sono i prodotti rimasti invenduti sugli scaffali? E soprattutto, quanto alla fine ho venduto?

Questi sono solo un esempio di quelli che i markettari, notoriamente anglofoni, chiamano KPI, ovvero i famigerati e temutissimi key performance indicator.

Il KPI è di fatto un numerino, preciso e soprattutto confrontabile, che assume una valenza critica per il successo di quello che facciamo. In altre parole, i KPI sono quelle spie sul cruscotto che ci dicono se sta andando tutto bene oppure è meglio fermarsi alla prima officina lungo la strada. Sono tutte quelle statistiche più o meno elaborate che, talvolta, sono l’ultima cosa che vorremmo vedere, per il semplice fatto che si limitano a esprimere la nuda e cruda verità.

È fin troppo facile e invitante gongolarsi con altri numeri, magari strepitosi, magari in crescita, come i follower, i like e le visualizzazioni, ma che alla fine non ci aiutano granché a raggiungere i risultati sperati.

I KPI, in sostanza, sono quei numeri che, tolta la fuffa, contano sul serio.

Ognuno di noi, sia ben chiaro, avrà i suoi personalissimi e preziosissimi KPI. Io, per esempio, tengo molto in considerazione il numero di iscritti alla newsletter. Mi fa piacere che le persone atterrino su questo sito e si mettano a leggiucchiare qua e là. Però, se non mi lasciano il contatto, le considero a priori delle meteore che mai più in questa vita rientreranno nella mia piccola orbita. Un iscritto alla newsletter è, per quanto mi riguarda, un forte segnale di fiducia e interesse che va al di là della piattaforma social del momento.

Per me, inoltre, il numero di pagine viste è poca roba se non si accompagna a un tempo medio di visita a un livello perlomeno dignitoso. Se il tempo di visita è basso, in un blog come questo, significa che la gente non si ferma a leggere e per me è molto importante che la gente si fermi a leggere.

Se sono uno youtuber, invece, potrei misurare la percentuale di spettatori che arriva fino alla fine dei miei video. Se sono un influencer su Instagram, potrei guardare con attenzione il numero di commenti o interazioni sui miei post. Se gestisco un negozio elettronico, oltre alla vendite, potrei concentrarmi sulle recensioni e/o valutazioni fornite dagli utenti. E via di questo passo.

La cosa importante è che il dato sia oggettivo, affidabile e misurabile nel tempo. E soprattutto, che sia fortemente intrecciato al raggiungimento dei miei obiettivi. Se i miei post ricevono migliaia di commenti, ma sono tutti insulti e parolacce, questo evidentemente non è più un KPI affidabile. Se confronto le pere con le banane e poi le banane con le fragole, alla fine otterrò soltanto una macedonia, magari anche un po’ rancida.

Già, riconosco che non è facile trovare i propri indicatori di performance, e soprattutto misurarli in modo onesto e obiettivo. Preferiamo di gran lunga inseguire i numeri sbagliati o che vanno più di moda, nella speranza, o illusione, di creare una cortina di fumo attorno ai nostri insuccessi. Preferiamo a volte non misurare affatto, fidandoci dell’intuito o contando sul fatto che, in fondo, i numeri sono soltanto numeri.

Ma senza una bussola che dice dove stiamo andando, che sia precisa e soprattutto “severa”, alla fine, probabilmente, non andremo da nessuna parte.

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Scritto da
Gianluca Riboni
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Gianluca Riboni

Pensatore e capo tribù NAZAV, personal trainer non convenzionale, ambasciatore dello yoga e della risata, scrittore e blogger incompreso. Scrivo quello che mi passa la testa, nella speranza di lasciare un segno su questo pianeta. Sempre in Arial 11.

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