Che cosa si intende esattamente con libertà finanziaria?
Secondo Van Tharp, autore del libro Trade your way to financial freedom, ci sono due condizioni essenziali per potersi definire finanziariamente liberi. Condizione numero uno, banalissima: le nostre entrate mensili devono essere superiori alle uscite. In altre parole, dobbiamo essere in grado di controllare i costi e mettere con regolarità qualche soldino nel salvadanaio, un po’ come si faceva da piccoli. Condizione numero due, un po’ meno banale: non ci deve essere una correlazione diretta tra le entrate e il tempo impiegato per ottenerle. Cioè qui, invece dei dobloni, nel salvadanaio ci devo mettere del tempo.
Questo significa che, se devo lavorare cinque giorni a settimana per tutto l’anno, non sono finanziariamente libero. Paradossalmente, nemmeno Cristiano Ronaldo potrebbe definirsi tale se cominciasse a spendere tutto il suo stipendio faraonico in yatch o auto d’epoca. Un monaco che si accontenta di una scodella di riso al giorno potrebbe addirittura ritenersi più libero di un manager con il conto in banca a dieci cifre, ma senza un minuto di tempo da dedicare ai propri affetti.
Insomma, alla fine si scopre che la libertà finanziaria non è necessariamente sinonimo di ricchezza sfrenata. Parliamo piuttosto di un delicato equilibro tra la capacità di soddisfare i propri bisogni materiali e la libertà di non dover dipendere da nessuno.
Che sia soltanto pura utopia?
La libertà finanziaria, per come l’abbiamo descritta, sembra proprio un paradiso in terra, ma di certo non la si raggiunge schioccando semplicemente le dita. Con un po’ di sacrifici e parsimonia possiamo ridurre le spese, ma le entrate automatiche non sono proprio alla portata di tutti. Guadagnare dei soldi a prescindere dal tempo impiegato, infatti, vuol dire soltanto una cosa: che sono i soldi stessi a lavorare al posto nostro.
Per esempio, potrei investire o speculare nei mercati finanziari, acquistare un immobile e garantirmi una rendita affittandolo, concedere un prestito a qualcuno e incassare gli interessi, diventare socio di un’azienda e prendermi la mia fetta di utili. Il minimo comune denominatore, in tutti questi casi, è sempre uno: avere già dei soldi in cassaforte. Ed è lo stesso Van Tharp a tarparci le ali, per l’appunto, sostenendo che, nel mondo del trading, più il capitale di partenza è bello grosso, più le probabilità di successo a lungo termine saranno alte.
D’altronde, basterebbe fare due conti. Mettiamo caso che io, dal mio ipotetico stipendio di mille euro, riuscissi a mettere da parte cento euro belli tondi. Potrei investire questi soldi in borsa, comprando una sola azione di una big tech americana, mettiamo del valore di cento euro. Come minimo, la banca o il broker mi chiederanno una commissione di dieci euro o giù di lì. Quindi, prima ancora di entrare a mercato, sono già in perdita secca del 10% e, per rientrare nelle spese, devo sperare che il titolo salga in un tempo ragionevole perlomeno della stessa percentuale.
Se sono baciato dalla fortuna e il mio titolo dovesse schizzare del 20% in pochi giorni, avrei comunque guadagnato venti euro, a cui dobbiamo togliere le tasse. Diciamo che mi resterebbero quindici euro circa di profitto, spolpati però dai costi di ingresso nel mercato e, molto probabilmente, anche da quelli di uscita.
Se avessi avuto diecimila euro da investire, invece, avrei potuto guadagnare circa duemila euro. In questo caso, dieci euro di commissioni mi avrebbero fatto il solletico. Al di là di questo, però, puntare tutte le fiches su un unico titolo finanziario, secondo Van Tharp, sarebbe stata pura follia. Vediamo perché.
Il segreto del trading? Trovare il giusto livello di rischio.
Disporre di un capitale consistente non è vantaggioso soltanto per rientrare più facilmente dalle spese, ma perché consente anche di diversificare meglio i propri investimenti. Noi siamo abituati a immaginare i trader come scatenati lupi di Wall Street, amanti del brivido e dell’azzardo, capaci di accumulare o bruciare ingenti ricchezze con mirabolanti operazioni al cardiopalma. Nella realtà, invece, quelli che guadagnano veramente nei mercati finanziari, secondo Van Tharp, sono persone metodiche, noiose e soprattutto prudenti. Rischiano soltanto il capitale che possono permettersi di perdere, sanno aspettare le occasioni giuste e, sopra ogni cosa, hanno un sistema collaudato.
La maggior parte di chi si avvicina ingolosito a questo mondo ha solo un’idea fissa in testa: sapere che cosa bisogna comprare e qual è il momento giusto per farlo. Ma il buon Van Tharp ci ripete fino alla nausea che questo non basta, che il cosiddetto “Santo Graal” in grado di garantire soldi facili con il minimo sforzo è soltanto un miraggio.
Certo, bisogna cogliere l’opportunità più ghiotta per entrare a mercato, ma non senza una buona strategia di uscita. Inoltre, dovrei decidere a priori quanto sono disposto a rischiare e quale è il risultato che mi aspetto di ottenere. Se rischio mille per ottenere cento, c’è qualcosa che non va. Se mi concentro sull’ingresso, ma non so quando uscire, rischio di violare una delle regole auree del trading: limitare le perdite e lasciar correre i profitti. In altre parole, devo essere in grado di tamponare tempestivamente l’emorragia, ma avere anche la pazienza di spremere il maggior guadagno possibile.
Insomma, avvalersi di un sistema mediocre è comunque meglio di non averne affatto. Comprare o vendere azioni per istinto, o perché ho ricevuto qualche soffiata, può farci fare il colpaccio una volta ogni tanto, non c’è dubbio, ma non porterà mai risultati in modo continuativo.
E questo sistema vincente, quindi, quale sarebbe?
Nel libro Van Tharp ne passa in rassegna parecchi, compreso quello di Warren Buffet che ho avuto modo di approfondire qui. Per ognuno, l’autore analizza scrupolosamente tutti i criteri che, secondo lui, dovrebbe avere un solido sistema di trading. Ci sono un sacco di esempi e casi pratici in vari mercati e con i principali strumenti finanziari oggi disponibili. In ogni caso, un sistema perfetto in assoluto non può esistere.
Ognuno, secondo Van Tharp, ha bisogno di trovare quello più adatto sulla base del tempo e delle risorse a disposizione, nonché delle capacità di gestire le proprie emozioni e sopportare le perdite. Queste ultime, infatti, fanno parte del gioco. Non è che chi guadagna nel trading non perde mai un centesimo, anzi. A volte si può perdere anche nel 50/60% dei casi, ma se alle fine i soldi che entrano superano quelli che escono, abbiamo fatto BINGO.
Un buon trader è capace di autocontrollo. Non è certo un Nostradamus che sa prevedere l’andamento del prezzo. Semplicemente, è abile nel trovare un equilibro tra il rischio e il possibile guadagno, e fa in modo che le operazioni di successo superino in quantità quelle in perdita. Fa quello che gli altri, per paura o per avarizia, non farebbero: vende quando gli altri comprano, compra quando tutti abbandonano la barca, rinuncia a un guadagno immediato per un ritorno più consistente in futuro. Insomma, sa quello che fa.
Ritornando al punto di partenza, perché avere un grosso capitale è così importante? Immaginalo come un muro di neve. Se comincio a tirargli addosso delle piccole palline nere, equivalenti alle perdite, il muro resterà comunque in piedi e potrà reggere moltissimi altri colpi. Ma se fosse più modesto, invece, basterebbero poche operazioni sbagliate a ridurlo in poltiglia. In ogni caso, il trading è rischioso di per sé, ed esporsi ulteriormente al rischio con “puntate” troppo grosse e ambiziose è il primo passo verso la rovina finanziaria. Secondo Van Tharp, percentuali ragionevoli di rischio non dovrebbero mai superare il due per cento dell’intero ammontare. Tradotto, se avessi anche solo cento euro da investire, non dovrei rischiare di perdere più di due euro per ogni operazione finanziaria.
Ciò spiegherebbe perché sul pianeta terra i più ricchi hanno il vizio di diventare sempre più ricchi. Il denaro assomiglia quasi a una slavina: se comincia a girare nella direzione giusta, si autoalimenta e diventa inarrestabile.
Per un americano come Van Tharp, naturalmente, la libertà finanziaria non si può che conquistare grazie al trading. Ma ci avverte anche che una solida cultura finanziaria e la conoscenza tecnica degli strumenti di investimento non bastano per trovare il nostro personalissimo Santo Graal. Infatti, noi non “tradiamo” i mercati, ma le nostre convinzioni sui mercati. E il più grosso ostacolo verso la libertà finanziaria, spesso, siamo noi stessi.