Greenlights, il buon Matthew ci insegna come passare con il rosso

Greenlights, il buon Matthew ci insegna come passare con il rosso

Convinto dagli elogi sperticati di Marco Montemagno verso questo libro, mi dedico alla lettura di Greenlights, ovvero l’autobiografia di Matthew McConaughey (sì, per scrivere il cognome correttamente, ho dovuto fare copia e incolla).

Che cosa avrà di così speciale la vita di un divo di Hollywood? Mi chiedo. Possibile che sia più tormentata, incasinata e/o movimentata rispetto a quella dei suoi personaggi interpretati sul set? Mi chiedo.

Dopotutto, non servono molte pagine per capire un punto fondamentale: l’esistenza di Matthew McConaughey, il quale, nella mia visione un po’ limitata sull’universo cinematografico, altro non è che il protagonista di Interstellar, è costellata da molti schifosissimi semafori verdi.

I semafori verdi, per Matthew, si potrebbero definire in questo modo:

I GREENLIGHTS, I SEMAFORI VERDI SIGNIFICANO VAI, PROCEDI, CONTINUA. Lungo la strada servono a regolare il flusso del traffico, e quando sono programmati bene le auto possono prendere più greenlights in successione. Ci dicono di avanzare. Nella vita, sono una conferma del nostro percorso. Sono segni di approvazione, sostegno ed elogio, sono doni, benzina per andare avanti, complimenti e desideri. Sono soldi, nascite, primavere, salute, successo, gioia, sostenibilità, innocenza e ripartenze.

Gli inizi per lui non sono poi così facili. Sì, viene da una famiglia di lavoratori, viene cresciuto da genitori che divorziano due volte e si risposano tre volte, sempre tra loro, sia chiaro. In una famiglia dove bisogna dire sempre la verità ma, soprattutto, non bisogna mai farsi “beccare” (come quando decidi di ordinare una pizza e andartene senza pagarla, per esempio), dove, per conquistarsi il rispetto e l’approvazione del padre, bisogna prendere a cazzotti qualcuno, fosse anche il padre stesso.

Però, alle scuole superiori Matthew è già un bel ragazzo e, con il suo sfrontato pickup, sa bene come rimorchiare le ragazze. Nonostante la madre lo convinca a cospargersi ogni giorno il viso con l’olio di visone, rischiando di deturparlo a vita, vince addirittura il premio per lo studente più bello della scuola (cosa che, tra l’altro, gli impedisce di vincere la causa contro i produttori di quella maledetta crema corrosiva). Dopo essersi costruito una romantica casa sull’albero durante un’estate memorabile, sgraffignando i materiali da un cantiere, l’adolescenza di Matthew è segnata da un lungo soggiorno in un Australia, come ospite di una famiglia di svitati in un paesino sperduto.

Un bel semaforo rosso questa volta che, però, il nostro eroe saprà presto trasformare in un semaforo verde:

Solo in seguito ho capito che la sofferenza e la solitudine che avevo provato erano state uno dei più importanti sacrifici della mia vita. Prima del viaggio in Australia non ero mai stato un tipo introspettivo. Durante quel soggiorno, per la prima volta nella mia vita, fui costretto a guardarmi dentro per dare un senso a quanto succedeva intorno a me.

Sì, fui costretto a entrare nell’inverno. A guardare dentro di me perché non avevo nessun altro. Non avevo nient’altro. Avevo perso tutti i miei sostegni. Niente mamma e papà, niente amici, niente ragazze, niente bei voti, niente telefono, niente pick-up, niente «il più bello».

Un accecante semaforo verde arriva perfino quando è chiamato a decidere il suo futuro. L’idea iniziale era quella di fare l’avvocato, ma poi, con la benedizione inattesa del padre (se vuoi fare l’attore, va bene, ma non farlo alla cazzo di cane), decide di iscriversi alla scuola di cinema. Durante gli studi, non proprio brillanti, conosce il produttore Don Phillips al bar dove lavorava e, tra un paio di drink e una canna, gli viene proposta una piccola parte nel film “La vita è un sogno” che stavano girando ad Austin proprio in quei giorni. Il personaggio da interpretare è quello di Wooderson, un maniaco che ricordiamo perlopiù per questa battuta:

«Sai cosa mi piace delle ragazzine della high school? Io invecchio, e loro hanno sempre la stessa età.»

La prima breve esperienza sul set si rivela un successo, un bel trampolino di lancio, anche se l’approdo a Hollywood non è proprio una passeggiata.

HOLLYWOOD. Devi volerla, non averne bisogno. Solo così avrai un’occasione, altrimenti no. Sempre sfuggente, mai posseduta, ognuno la brama, sconosciuta. È l’irraggiungibile bufalo bianco che sfida la divinità a ogni incontro al chiaro di luna. Esiste davvero? La risposta è quel che ci serve, la domanda è quel che desideriamo. Devi volerla, non averne bisogno, e forse lei cederà.

E alla fine, dopo vari vagabondaggi alla ricerca di sé stesso, Hollywood a poco a poco cederà. Matthew McConaughey diventerà un attore richiestissimo e ben pagato in moltissime commedie romantiche e in seguito saprà reinventarsi, prendendosi molti rischi, come attore drammatico. Senza particolari resistenze, riuscirà a corteggiare e conquistare la bellissima donna che poi diventerà sua moglie e con la quale metterà su famiglia.

Già, vedendola così, la vita di Matthew McConaughey sembra proprio tutta in discesa, un inanellarsi di successi e semafori verdi come smeraldi, ma se andiamo a scrutare un po’ più a fondo, ci accorgiamo che, a furia di correre in discesa, si rischia di cadere e non rialzarsi più. Che, dietro a ogni cornice rosea e patinata, si nascondono delle scelte coraggiose, impegno e duro lavoro e, cosa più importante, un piano ben preciso.

Viviamo un’esperienza extracorporea in cui ci vediamo dall’esterno, non siamo più presenti, siamo incapaci di fare bene quello che dovremmo fare. Diventiamo semplici osservatori della situazione perché le permettiamo di diventare più grande di noi, siamo meno coinvolti e più suggestionati. Perché accade? Perché nella nostra mente facciamo sì che una persona, un luogo, o un punto nel tempo acquistino più importanza di noi stessi, costruiamo un soffitto immaginario, un vincolo, alle aspettative che abbiamo sulla nostra performance in quel momento. Diventiamo nervosi, ci concentriamo sul risultato invece che sul processo, e non riusciamo ad agire. Pensiamo che tutto dipenda dal risultato, oppure che sia tutto troppo bello per essere vero. Ma non è così, e non abbiamo alcun diritto di credere che lo sia.

Già, perché alla fine la destinazione conta come il due di picche. E il libro di Matthew McConaughey, tra memorie, appunti di viaggio, consigli di vita e parentesi introspettive, è proprio una gran bella scoperta.

Non mi è mai interessata molto la destinazione. L’idea dell’atterraggio è troppo circoscritta per la mia immaginazione e il mio senso della melodia. Datemi una direzione e un’autostrada a sedici corsie con lo spazio per scartare all’improvviso ed esplorare lungo il percorso. Come il jazz, preferisco vedere la vita come un fiume.

Scritto da
Gianluca Riboni
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Gianluca Riboni

Pensatore e capo tribù NAZAV, personal trainer non convenzionale, ambasciatore dello yoga e della risata, scrittore e blogger incompreso. Scrivo quello che mi passa la testa, nella speranza di lasciare un segno su questo pianeta. Sempre in Arial 11.

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