Try again: la vita è un videogame?

Try again: la vita è un videogame?

C’era una volta in cui i videogiochi erano tutto, per me. Erano un’evasione, uno sfogo, una sfida. Da divano, certo, ma pur sempre una sfida. 😛

C’era una volta in cui videogiochi erano per pochi. Per quelli che avevano la pazienza di aspettare ore intere, con la faccia incollata a uno schermo di quattro pixel in croce e un nastro (sì, un nastro) che girava con una pigrizia quasi strafottente davanti al tuo sguardo speranzoso di chi credeva ancora a Babbo Natale. Per quelli che avevano la testa abbastanza dura da ricominciare tutto da capo ogni volta che venivi sconfitto e il game over era OVER per davvero. Già, perché non esistevano ancora i comodi e “miracolosi” salvataggi a riportarti in vita.

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Oggi, anche un neonato con il moccolo riuscirebbe a completare un livello di Candy Crash Saga, ma ai miei tempi, all’alba dei videogame, dovevi essere in gamba, anche perché molti titoli erano progettati per farti perdere velocemente: così, quando venivi risucchiato in una sala giochi e perdevi miseramente dopo aver pigiato sì e no tre tasti, dovevi correre subito da mamma a implorare un nuovo rifornimento di gettoni.

E vogliamo mettere il classico dei classici, Super Mario Bros? Alzi la mano chi è mai riuscito a portare in salvo la principessa! Che io ricordi, il primo episodio della serie era un gioco talmente duro e spietato che, più che un gioioso passatempo, assomigliava a un addestramento per arruolarsi nei Navy Seals. Non fui mai, mai, capace di portarlo a termine.

Col passare del tempo, non tutti i videogiochi si sono ammorbiditi nell’ottica di coccolare un po’ i consumatori e non farli sentire delle schiappe assolute. Mi ricordo, per esempio, che giocando a un titolo della saga Devil May Cry, rimasi impantanato proprio all’ultimo livello. Mi mancava così poco per sconfiggere il cattivone finale, dannazione, mi sarebbe bastato un ultimo disperato sforzo prima di poter vedere finalmente i titoli di coda, ma niente, gettai la spugna quasi sull’orlo di una crisi nervosa: se il diavolo poteva piangere, figurarsi me, mi avrebbero potuto scambiare per una teenager brufolosa mentre si spara nelle cuffie un brano di Laura Pausini al primo due di picche.

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Insomma, ci sono stati dei momenti in cui quei videogiochi erano qualcosa di più, qualcosa di diverso. Non così divertente e anzi, in certe occasioni, fin troppo serio. Cosa posso dire, oggi, di tutte quelle ore passate a strangolare un joypad e fuggire da una realtà sicuramente meno variopinta e meno schizofrenica di Sonic il Riccio?

Ore buttate al vento? Momenti di vita che, in ogni caso, non avrei potuto vivere diversamente?

Può darsi, ma il punto è questo. Se tutto quell’impegno forsennato che ci mettevo nei videogiochi lo avessi trasferito nella vita reale? Sarebbe cambiato qualcosa? E come?

Ok, la vita non è proprio come un videogame. Il divertimento qui non è affatto garantito, proprio per niente, e i punti di salvataggio, dove puoi tirare il fiato e ricominciare, ammesso che esistano, sono dannatamente pochi lungo il percorso. Qui non è che puoi mettere giù il joystick quando ti sei stufato o hai perso del tutto la sensibilità ai polpastrelli. Però, se ci pensi bene, sei chiamato ad affrontare un livello dopo l’altro, qualcuno più semplice, qualcuno più bastardo. Devi ritentare ogni volta che fai un passo falso (cioè quasi SEMPRE). A ogni tentativo bisogna tenere duro, imparare dagli errori appena commessi, trovare nuove soluzioni e nuove strategie per avanzare o uscire dai vicoli ciechi, diventare migliore di quello che sei partita dopo partita, esperienza dopo esperienza.

Insomma, i videogiochi possono temprarti il carattere così come possono bollirti il cervello. Ti insegnano che, nella maggior parte dei casi, un funghetto parlante ti verrà incontro dicendo: grazie Mario, ma la principessa si trova in un altro castello (magari non proprio con queste esatte parole, eh?).

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Però, ormai nella sala giochi ci siamo entrati. A meno che ci sia un bulletto che ti voglia sfilare i gettoni dalle tasche, come capitava a me quando ero un ragazzotto imberbe, tanto vale accettare ogni sfida e immaginarla come un nuovo livello da scoprire, affrontare e superare. Il segreto? Fare in modo che non appaia mai, per nessuna ragione al mondo, la scritta GAME OVER. E ogni volta che viene chiesto con aria di sfida Try again?, premere su YES senza troppi indugi.

Scritto da
Gianluca Riboni
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Gianluca Riboni

Pensatore e capo tribù NAZAV, personal trainer non convenzionale, ambasciatore dello yoga e della risata, scrittore e blogger incompreso. Scrivo quello che mi passa la testa, nella speranza di lasciare un segno su questo pianeta. Sempre in Arial 11.

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