No, non voglio uscire dalla mia comfort zone. O forse sì.

No, non voglio uscire dalla mia comfort zone. O forse sì.

Hai presente quando il tuo capo vuole rifilarti un lavoro ingrato, ma davvero ingrato, che è proprio l’ultima cosa che vorresti fare da vivo su questo pianeta? E tu cominci a opporre una discreta resistenza e lui comincia a intortarti con frasi del tipo “Coraggio, esci dalla tua comfort zone!!!”?

A quel punto, non puoi fare a meno di chiederti: che diavolo è questa comfort zone?
E perché mai, se è così comoda, dovrei uscirne?

Cerchiamo di inquadrare meglio il concetto.

Prendiamo il mio gatto, per esempio. Dorme tutto il santo giorno e non si allontana mai di casa per più di mezza spanna, a occhio croce. Fa tutti i giorni le stesse identiche cose, cioè quasi nulla. Eppure è sano, ha l’aspetto sempre beato e, a parte i blitz a tradimento per portarlo dal veterinario, non mi verrebbe mai in mente di prenderlo e scaraventarlo fuori dal suo mondo felice e ben protetto. Ne uscirebbe sconvolto.

Dado - Il mio gatto

Ok, ma la vita di un gatto è insulsa e guidata dall’istinto. Resterà sempre e solo un gatto. Noi siamo esseri umani e possiamo fare cose ben più straordinarie. Giusto.

Prendiamo Bruce Wayne, allora. Se fosse rimasto nella bambagia, coccolato dal maggiordomo e assuefatto alla sua bella vita da miliardario, non sarebbe mai diventato Batman. Ha dovuto lottare nel fango e addestrarsi duramente in condizioni estreme, prima di poter diventare il Cavaliere Oscuro che tutti conosciamo.

George Orwell non avrebbe potuto scrivere “Senza un soldo a Parigi e Londra” se non avesse bazzicato i bassifondi di queste città e sbarcato il lunario accettando i lavori più umili.
Se ti va di guardare questo TED Talk di Tim Harford, capirai anche come un po’ di sano stress possa aiutare le persone più creative a tirare fuori le unghie e dare il meglio di sé. Come Keith Jarret, il quale, durante un concerto, accettò suo malgrado di suonare un pianoforte che non gli andava genio, riuscendo comunque a tirare fuori dal cilindro una performance di altissimo livello.

Dunque è vero. Restare in una zona di comfort, tranquilli e legati alle proprie abitudini, ostacola la nostra crescita, ci impedisce di metterci davvero alla prova e vivere esperienze straordinarie. Perché appunto è proprio là fuori che accadono le cose più straordinarie, giusto?

Detto in altri termini, ci tocca affrontare situazioni poco piacevoli PRIMA di poter raggiungere grandi traguardi. Un viaggio verso una destinazione lontana può richiedere lunghe e noiose attese in aeroporto, spostamenti scomodi e massacranti in auto, ma, una volta raggiunta, ogni cosa ci appare come un sacrificio necessario, che vale la pena sopportare.
Nessuno si diverte a scorrere gli annunci di lavoro, mandare via tonnellate di curriculum e presentarsi a un colloquio dopo l’altro, ma è quello che si deve fare, di solito, se si vuole fare un salto di qualità nella propria carriera.

Chi ha scelto di coniare questo termine avrebbe dovuto sforzarsi di più.
Perché non chiamarla “zona di abitudine” oppure “zona morta”?
Così appare, come dire, troppo confortevole.
Non è questo che cerchiamo, in fondo? Non si fonda su questo la nostra moderna società occidentale? La COMODITA’, sempre e comunque, in ogni cosa.

Fatte queste premesse, ecco cosa PENSO di aver capito su questa amata/odiata comfort zone.

  1. E’ subdola. Ti illude di farti stare bene, quando in realtà ti sta solo condannando a essere immobile e, alla lunga, insoddisfatto.
  2. Non c’è guru, life coach, maestro zen, psicologo o psicoterapeuta, che ti dirà che va bene stare rinchiuso nella tua comfort zone. Ogni tanto, mi spiace, la devi abbandonare.
  3. Per uscirne, però, non bisogna per forza lanciarsi col paracadute o domare un alligatore a mani nude. Bastano anche piccoli passi, piccoli cambiamenti. Oggi visito un posto nuovo, domani parlo con uno sconosciuto, dopodomani provo a fare una cosa che non ho mai fatto, come, che ne so, imparare una lingua, sperimentare una nuova ricetta in cucina, leggere un libro su argomento a me ignoto. Qualsiasi cosa, purché sia diversa dal solito, purché mi costi un po’ di fatica. Altrimenti siamo punto e a capo.
  4. La zona di comfort è comunque nostra amica. E’ un porto placido e sicuro dove poter ritornare e godere delle nuove esperienze acquisite. D’altronde, non è più facile lasciarla ben sapendo che sarà lì ad attenderci?
  5. Le “comodità” vanno sacrificate soltanto per raggiungere obiettivi più grandi e ambiziosi. Se mi fanno strisciare tutti i giorni nel fango, è perché un giorno diventerò un Marine. Ma se mi fanno strisciare tutti i giorni nel fango per poi restare per sempre nel fango, allora no, c’è qualcosa che non va. Mi stanno prendendo per i fondelli.
  6. Tutti devono fare i conti con la propria zona di comfort. Non credo che ci siano persone più brave e persone meno brave nell’affrontarla. Semplicemente, ci sono persone che ci provano e persone che non ci provano.
  7. La ricompensa, di solito, arriva soltanto alla fine del percorso. Per questo abbiamo paura. Perché non riusciamo ancora ad assaporare il reale gusto di ciò che ci attende, e non riusciamo ad accettare il fatto che, talvolta, potrebbe non esserci mai nessuna ricompensa.

Quindi, quando la prossima volta il tuo capo ti chiederà di uscire dalla tua comfort zone, riflettici un attimo. Quello che chiede mi aiuterà a crescere come persona? Oppure è soltanto un pretesto per farmi sgobbare di più?

Di solito, statisticamente parlando, è più probabile la seconda.

😛

Scritto da
Gianluca Riboni
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Gianluca Riboni

Pensatore e capo tribù NAZAV, personal trainer non convenzionale, ambasciatore dello yoga e della risata, scrittore e blogger incompreso. Scrivo quello che mi passa la testa, nella speranza di lasciare un segno su questo pianeta. Sempre in Arial 11.

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